Fra i boschi e l’acqua

Nel linguaggio popolare non esiste differenza fra corte ad elementi congiunti e loghino, dato che con questo termine si intende definire genericamente il fabbricato rurale a servizio di un fondo di modesta consistenza. […] Il loghino infatti rappresenta l’estrema miniaturizzazione della corte tradizionale, di cui continua tuttavia a mantenere gli elementi essenziali, senza svilirne la dignità architettonica e senza perdere del tutto qualche elemento decorativo di identificazione. […] Il loghino ebbe il suo momento d’oro negli anni ’20-’30, quando il regime fascista potenziò la piccola e piccolissima proprietà agricola, soprttutto nelle aree bonificate grazie ai giganteschi lavori promossi dal Consorzio di Bonifica dell’Agro Mantovano-Reggiano.

Estratto da “La corte dell’oltrepò mantovano” di Carlo Parmigiani

 

Il Loghino Sabbioni è una tipica corte della Bassa Padana, nel territorio che quasi mille anni fa era sotto il dominio di Matilde di Canossa. Ampliata e ristrutturata negli anni, il rogito in nostro possesso certifica l’acquisto da parte di Leandro Romitti nel 1919. Sul rogito la corte viene denominata ‘Sabbioni’ presumibilmente in riferimento alle aste di sabbia presenti lungo il fiume Po il cui corso nel passato era diverso da quello attuale.

La completa ristrutturazione della casa e dell’antico fienile è avvenuta nel pieno rispetto dell’architettura rurale del Basso Mantovano-Reggiano. L’interno della casa mostra uno stile rustico e un arredamento attento al recupero di mobili e masserizie quasi dimenticati.

Il vecchio numero civico fino agli anni 60

 

Il primo numero civico in uso fino agli anni sessanta, assegnato dal Comune, poi cambiato in 41 e infine al 31 attuale. Tenuto per ricordo, prodotto in porcellana.

 

Finis” dal sostantivo latino masc. e femm. III declinazione, fine; ma anche: confine, proprietà, termine e scopo. Presumibilmente scritto con un dito prima della cottura nei fornini, piccoli forni con cui in campagna ognuno si produceva le pietre per le case, di forma spesso irregolare e dimensioni diverse da pietra a pietra.

 

Tutti i pioppi per ben vegetare hanno bisogno di terreno fertile e areato, ben soleggiato, e sono piante colonizzatrici che lasciano poi il posto ad alte specie. Certe volte il loro comportamento è arbustivo ma raggiungo anche i trenta metri di altezza e oltre un metro di diametro. Nel pioppo bianco la chioma è arrotondata, nel nero a piramide con grossi rami, nel cipressino alta e affusolata, nel tremulo globosa. […] Governato a capitozzo, dopo i vent’anni, rendeva ogni anno una o due fascine di legna per fusto; si usava anche sbroccarli, ossia levare le foglie dai rami più bassi che si tagliavano da sotto in su ogni tre o quattro anni, al fine di avere cibo invernale per gli animali <<con i corni>>. Le gemme del pioppo nero si usavano in medicina per ricavare un unguento balsamico e cicatrizzante chiamato ‘populeo’ e la corteccia, come quella del salice, è ricca di tannino e di salicilina.                                                                                      Secondo sant’Isidoro il nome deriva da ‘populus’ perché una volta tagliato pullula numeroso dal ceppo a guisa di popolo. Orazio dice che i pioppi, ‘arbores insignes’, si piantano ai limiti delle proprietà; così la presenza del pioppo ‘certis limitibus vicina refugit iurgia’ (Epist.II, 170, 171), determinando il confine evita le contese con i vicini.

Estratto da “Arboreto salvatico” di Mario Rigoni Stern

Il Ducato di Mantova passa dalla famiglia Gonzaga all’Imperatore del Sacro Romano Impero con la destituzione di Ferdinando Carlo. Fellone o vittima geopolitica?

Una terribile battaglia fu combattuta tra i filari di vite, corpo a corpo, proprio qui tra Riva di Suzzara e Luzzara, al confine tra Lombardia ed Emilia: in sole 5 ore rimasero a terra, morti o feriti, settemila soldati venuti da tutta Europa, anche irlandesi e danesi agli ordini del re di Francia, alleato alla Baviera, e dell’imperatore d’Austria, appoggiato dall’Inghilterra, che si contendevano il trono di Spagna, dopo la morte senza eredi di Carlo II nel 1700. Nessuno dei due contendenti guadagnò un centimetro di terra, ma entrambi cantarono vittoria.

La battaglia di Luzzara del 15 agosto 1702 fu uno dei principali avvenimenti che caratterizzarono la guerra per la successione spagnola combattuta dal 1700 al 1714.

L’episodio riguardante il quadro che illustra la battaglia di Luzzara è che il dipinto fu falsificato. Il quadro si trova a Vienna nel Palazzo d’inverno del principe Eugenio di Savoia, nella sala delle battaglie vinte dal principe stesso, e compare come Battaglia di Malplaquet, combattuta nel 1709, sempre nella guerra di successione spagnola. Il falso della Battaglia di Malplaquet 1709, operato dal pittore Ignace Jacques Parrocel, sul dipinto della Battaglia presso Luzzara 1702, dello zio Joseph Parrocel (morto nel 1704), perché non si riconosca la presenza del Duca Gonzaga in quella Battaglia. Una falsificazione su cui avanzano ipotesi.

Nel quadro, andando dal primo piano verso l’orizzonte, appaiono in sequenza Riva (Riva antica), Luzzara, Guastalla e Novellara. Perché il dipinto fu falsificato? Il parroco espone i fatti: la battaglia fu combattuta dagli imperiali, comandati da Eugenio di Savoia, contro francesi e spagnoli sotto il comando del generale Vendôme. Non vinse nessuno dei due, cioè vinsero metà per uno. Ma il fatto importante è che il duca di Mantova, Ferdinando Carlo Gonzaga-Nevers, partecipò alla battaglia, dalla parte dei nemici dell’imperatore. Il Duca dormì, dopo la Battaglia, nel Convento degli Agostiniani (fondato dalla sua famiglia nel XV sec. per la sepoltura dei Marchesi Gonzaga), che nella rappresentazione di Parrocel viene cancellato L’imperatore, nel 1707, gli portò via il duca poito.

Duca bollato “fellone” l’anno dopo, pochi giorni prima di morire, il cui nome manco poteva essere nominato. Damnatio memoriae. La censura cadde anche sulla battaglia dove lui combatté: Luzzara fu trasformata in Malplaquet. La prova? Quella della damnatio è nella lapide, a Mantova, all’angolo tra i vicoli Deserto e Nazione. Lì abitava il segretario del duca. Quale duca? Il suo nome – Ferdinando Carlo – fu scalpellato via.